Il cammino dei lavoratori è ancora lungo

di Tiziana Mazzaglia  @TMazzaglia

 

Pubblicato in «I Vespri», 15/06/2013, pg. 18, tot. p. 1 http://www.ivespri.com

 

Come sosteneva il maestro Kandinskij «Il valore di un’opera d’arte consiste nel suo profetizzare un mondo », ed è questo il compito di quanto è raffigurato attraverso i segni. Ogni segno, infatti, è simbolo di qualcosa e contiene un messaggio da trasmettere a chi lo osserva. Il vedere un certo segno comunica al nostro cervello un messaggio ben preciso. Ogni periodo storico ha avuto il suo stile ben distinto di raffigurare ciò che l’artista sentiva dentro il proprio animo, collegato a stati emotivi, psico-fisici e anche alla connotazione temporale di quanto lo stava circondando. Fin dagli albori della nostra stirpe umana, in quel periodo chiamato dagli storici “preistoria”, in quanto ancora non vi era una forma di scrittura, gli uomini primitivi avevano avvertito una necessità istintiva di riprodurre, attraverso segni, quanto vedevano. Tra le incisioni rupestri sono state trovate immagini di animali, di caccia, di lavori agricoli, di riti propiziatori, danze, ancora, di aggeggi, di abbigliamenti. Il tutto ci parla di quel periodo, come se fossero tanti articoli di cronaca. Così, l’uomo di ogni tempo si dedica all’arte, fino ad arrivare a periodi storici più vicini a noi, quando la rappresentazione pittorica diventa vera e propria forma di cronaca. Vari sono stati gli artisti ad aver raffigurato scene di episodi salienti della loro contemporaneità, con l’intento di lasciare una testimonianza storica, per non far cessare la memoria di quanto avevano vissuto. Basta pensare a “La zattera della medusa” di Géricault (1818-1819), “La libertà guida il popolo” di Delacroix (1830), “Il cammino dei lavoratori”(1901) e “Fiumana” (1896) di Pelizza da Volpedo. In particolare, il mondo profetizzato dalle opere di cronaca di Pelizza da Volpedo ci parla anche del nostro quotidiano, in cui la crisi prende il sopravvento, quale epidemia e peste dei nostri giorni. Nel primo, “Il cammino dei lavoratori” la scena si aspre nella piazza di un paese in cui dimora un grande proprietario terriero, benestante, a cui nulla manca, soprattutto il potere. Eppure, questo personaggio non è raffigurato, pur essendo il più importante. I personaggi della scena sono, qui, i veri protagonisti della storia-vita, quelli che conducono la produzione, l’economia, il progresso. Dopo anni dedicati alla ritrattistica dei committenti ricchi, l’obiettivo degli artisti si sposta sul vero cuore del mondo: il popolo. Un popolo in marcia, con abiti da lavoro, non intento a lavorare, perché come è evidente “qualcosa” non funziona. Una schiera numerosa e addirittura paurosa, in cammino verso lo spettatore che osserva il quadro, in quel tempo e nel nostro tempo. Personaggi che continuano a parlarci di ingiustizie, fame, crisi, lavoro nero, diritti negati, figli da sfamare, famiglie sfrattate… Niente di nuovo rispetto agli episodi dei nostri giorni, una società ancora attuale, eppure denunciata già nel 1900. Un’opera d’arte che è grido di abbandono, miseria, sofferenza. Un grido di aiuto pronunciato da una tela del passato può servire a prendere contatto con la realtà dei nostri giorni e ad agire prontamente, per apportare un cambiamento significativo. Un mondo profetizzato e che profetizza il pericolo verso cui si va incontro. Segni del passato capaci di gridarci in faccia la verità e di aprirci gli occhi, segni di cultura da non cancellare. P. Valéry, sosteneva che « Un’immagine è più di un’immagine e a volte più della cosa stessa di cui è immagine ». Così, come l’uomo primitivo avvertiva la necessità di lasciare un segno, l’animo umano sente la necessità di apportarsi all’arte visiva, per entrare in contatto con il proprio animo, la propria coscienza e rendersi conto di avere tra le mani una vita che scorre da soccorrere al più presto. Il campo della cultura umanistica, sempre più dilaniato da tagli, nasconde in sé un patrimonio immenso di messaggi e passaggi da percorrere nel cammino verso il futuro. Oggi viene anche negato il valore della cultura, sottovalutando la sua funzione di vaso che racchiude le radici della stirpe umana e trasmette la memoria di generazione in generazione, lasciando il suo segno di insegnamento e riflessione indispensabili alla crescita di un paese.